Il sentiero da e per il Vado di Piaverano

Da Vado di Corno sulla mitica linea di cresta del Centenario, la prima via di fuga verso la valle


Quando si parla della cresta del Centenario, quella che dal Monte Aquila, anzi, meglio dire da Vado di Corno fila via per una decina di chilometri fino al Fonte Vetica, si fa sempre accenno alle famose vie di fuga in caso di difficoltà, ma una volta su, in cresta, magari con nebbia o minaccia di temporale, chi sa davvero senza dubbi imboccarle per scendere? Mi sono messo in testa di andare a cercare i sentieri, gli attacchi, di tutte le varie vie di fuga, prendendole dal basso, dalla piana di Campo Imperatore, per memorizzare , documentare se è il caso, l’imbocco in cresta . Da dove si può scappare velocemente una volta in cresta? Dal Vado di Piaverano, tra il Brancastello e le Torri di Casanova, dalla Forcella di Santa Palomba tra le Torri di Casanova e l’Infornace, dalla via Ceri esattamente sull’Infornace. La via dei Laghetti e la Brancadoro, che scendono dal Prena, con maggiori difficoltà alpinistiche, non possono essere considerate esattamente vie di fuga. E allora ho iniziato dalla prima, da Nord, dalla più semplice e meno frequentata. Sono andato alla ricerca del sentiero che porta al Vado di Piaverano (su qualche carta anche Vado di Pieverano). Dalla strada per Campo Imperatore puoi scrutare quanto ti pare, non c’è traccia di sentiero, se non quello lasciato nella prateria dalle 4x4 dei pastori, e quello dove inizia il pendio erboso della montagna, appena percettibile, una traccia, un calpestio sarebbe meglio dire visibile o meno a seconda del periodo e delle condizioni del terreno. Si parcheggia nell’area sosta un chilometro dopo aver svoltato in direzione di Campo Imperatore; per una cinquantina di metri si percorre la strada verso Nord e si imbocca la sterrata verso destra percepibile solo per le tracce di calpestio delle ruote, un piccolo masso con sopra un segnavia sbiadito è pressoché nascosto nell’erba ma indica l’inizio del sentiero. La piana, un catino, una prateria accerchiata dalle montagne più belle degli Appennini è suggestiva e affascinante, solitaria e silenziosa; il Corno Grande la chiude e la sovrasta verso Nord , la “grande bellezza” , la vera “grande bellezza” è di casa qui. Non solo, dal nastro di asfalto, la piana stepposa sembra monotona e tutta uguale, adatta solo per le mandrie di mucche, quando ci sei dentro il mondo circostante sembra invece cambiare; la piana è solcata da canali poco profondi, da frequenti avvallamenti, quando ci cali dentro ciò che ti circonda è solo cielo e creste delle montagne ; i colori che tendono al bruciato di questa fine (finta) estate rendono il paesaggio ancora più magnificamente desolato. Il “piccolo Tibet” da qua in mezzo prende tutto il suo vero senso, nessuna affermazione è più vera. Fino oltre metà della piana si segue la traccia della sterrata che poi vira decisamente a destra perdendosi quasi nelle prime leggere alture; prima di salire su queste, al primo bivio in cui la traccia si divide, si prende decisamente a sinistra, verso le Torri di Casanova, siamo già oltre la metà dell’attraversamento; poco dopo la traccia si separa ancora e si prende quella a destra, una piccola roccia affiorante nella steppa porta un segnavia quasi invisibile; quella di sinistra porta nello stesso punto, è solamente leggermente più lunga. A vista da qui si è tentati di salire sulle groppe erbose delle pendici dello Scindarella, la logica ti dice che il percorso, anche se ripido è privo di ostacoli fino alle rocce di cresta; non si sale da lì invece, ai primi cambi di pendenza ci si mantiene dentro un ampio ed erboso fosso verso destra. Più avanti si allarga e riappiana prima di prendere a salire con decisione; qualche sparuto segnavia inizia a comparire sulle rocce che sono disseminate nei pratoni. In sostanza, guardando il Brancastello e tutti i canali che scendono verticali si deve prendere a salire a destra dell’ultimo, verso Sud, quello più marcato; spero che la traccia che riporto in una foto sia più chiara della mia descrizione. Una isolata roccia alta un paio di metri con un omino sopra ed un paio di segnavia è praticamente l’inizio del sentiero che prima timidamente poi ben marcato inizia a salire con fitte svolte. Poche di queste, ci si alza subito, e Campo Imperatore offre la sua seconda faccia: ritorna ad essere quella piana apparentemente monotona, solcata però da quell’enorme fiumana della Canala che ogni volta ti lascia sbalordito. Imperioso il panorama insomma, tutta la forza di questo angolo di montagna è davanti a noi, a Nord il piano sale gradatamente di quota e si stringe, è dominato dalle moli delle grandi montagne del Corno Grande, del Monte Aquila, della Scindarella, a sud è una enorme pianura dove domina la lunga striscia desertica della Canala e l’elegante linea della cresta del Bolza; un paesaggio ormai comune, tante sono le volte che lo si vive, ma sempre ti lascia a bocca aperta. La salita fino al Vado di Piaverano è un sentiero agile, ben tracciato, comodo; sale senza strappi con frequenti tornanti , sempre molto panoramico. Il sentiero diventa meno certo, ma sempre facilmente percorribile intorno ai 2000 metri, quando la vegetazione lascia il posto alla roccia, a quello sfasciume che contraddistingue tutta la dorsale ovest della catena. Il breccino, la sabbia, che prima o poi andranno a formare le fiumane a valle non causano problemi; il sentiero non è mai ripido, oltre i 2000 metri anche ben segnalato, mai ha esposizioni o tratti in cui necessita l’uso delle mani, e sale lentamente. Oltre la fascia della vegetazione si tratta praticamente di un lungo traverso in direzione del Brancastello. Insomma la salita al Vado di Piaverano non esce mai dai connotati di una escursione di puro trekking. Anche il dislivello dalla piana è alla portata di tutti, sfiora i 700 metri e nemmeno tre ore servono per arrivarci. Si arriva in cresta che nemmeno te ne accorgi, improvvisamente scorgi il verde delle colline teramane ed il mare e se continui non puoi far altro che scendere sull’altro versante. Sulla linea di cresta, per chi percorre il Centenario, l’attacco del sentiero in discesa è contraddistinto da una coppia di bassi omini, posti perpendicolari alla linea di cresta, ci si deve passare in mezzo, è facile da individuare. Ci sferza un vento fresco leggero, quasi piacevole sotto il sole ormai a picco. E’ sempre bello raggiungere una cresta e sbirciare dall’altra parte anche se dall’altra parte il paesaggio è di quelli conosciuti e consolidati. Siamo partiti tardi e tardi siamo in cresta, non sappiamo che fare e come continuare la giornata, viste anche le previsioni meteo che danno un peggioramento vero le quattro del pomeriggio. Prendiamo verso Sud, le nuvole che formano bei cumuli sul Gran Sasso danno lo spunto per delle belle foto. Il soggetto è dei più belli, che lo siano le foto è solo una speranza che come al solito necessita di essere comprovata. Sotto le torri di Casanova nasce il dubbio se continuare o meno; ci siamo portati l’attrezzatura, l’idea era quella, se c’erano le condizioni, di superare le Torri fino all’Infornace e di scendere per la Ceri. Non conoscevo l’attacco della Ceri però, ecco l’idea che ha dato inizio al mio mini-progetto, il dubbio di mancarla insieme a quella dell’ora avanzata e soprattutto la preventivata “arrosticciata” a Fonte Vetica ci ha fatto desistere dall’intento per una più veloce puntata verso il Brancastello. Torniamo indietro e velocemente percorriamo il tratto di cresta. Il resto è stata una velocissima discesa sul percorso dell’andata, ma solo fino al limite della vegetazione. Intorno ai 2000 metri, quando i i prati e i nani cuscini di ginepro iniziano a prendere il sopravvento decidiamo di accorciare ulteriormente la giornata puntando la verticale verso il basso. Per linee ovvie e mai troppo pendenti scendiamo la rotonda dorsale che dal basso volevo usare per salire. Begli scorci, una bella crestina che forma un profondo fosso trasversale al pendio e che dalla strada nemmeno si intuisce; la cresta rocciosa in alto sparisce dietro le tonde gobbe della montagna mentre il Corno Grande si esalta incorniciato dalle nuvole e dal pendio del versante; questa variante sta regalando altri punti di vista che altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti. L’attraversamento della piana non avviene per la sterrata dell’andata, che invece incrociamo; dall’alto ci siamo accorti che veniva usata da un grosso gregge di pecore e soprattutto che lo stesso era sorvegliato da numerosi maremmani. Che fossero quelli che un mese prima ci avevano inseguito poco lontano da li, sulle pendici del San Gregorio a Paganica? Incrociamo il sentiero anticipando di molto il gregge, i cani non badano a noi e così facendo procediamo in linea retta verso le auto. Lo dicevo, la piana sembra piatta e monotona ma così non è; un continuo salire e scendere piccole collinette, fossi e doline che di tanto in tanto ti fanno sparire il mondo tranne le creste alte; sfioriamo la Canala, sembra di essere in un deserto … ma che sorpresa Campo Imperatore visto dal suo centro e soprattutto… ma quanto è grande la piana e quanto ti fa sentire piccolo piccolo!!! Infine l’auto, ci si ricompone alla meglio e scatta la fase due della giornata “l’arrosticciata” a Fonte Vetica, che riesce davvero benissimo. L’ultimo sguardo mentre si torna a casa lo devo alla Valle della Macina, quella fiumana che scende dal Prena e finisce di scorrere sotto il Bolza. Per me uno dei luoghi più selvaggi e suggestivi di Campo Imperatore.